La Val d'Astico, una delle più belle e verdi vallate vicentine, rischia di essere deturpata dalla realizzazione del tratto autostradale A31 Valdastico Nord. Quest'opera si caratterizza per un costo di realizzazione stimato in oltre DUE MILIARDI DI EURO (49 milioni di €/km) e flussi di traffico modesti, ma provocherebbe danni ambientali gravissimi e difficili da contenere. Viene proposta e sostenuta solo dalla società che gestisce la A4 Brescia-Padova, per interessi di rinnovo concessione. Interessi solo LORO!
In un ottica di progresso sostenibile e di alternative al trasporto su gomma, è doveroso dire NO ALLA VALDASTICO NORD!

lunedì 30 giugno 2014

Il Fatto Quotidiano - 29/06/14

Grandi opere, da Expo 2015 al Mose in Italia si costruisce tutto al buio

Solo nella Penisola non c’è l'obbligo di sottoporre i progetti finanziati dallo Stato, come le autostrade o l'Alta Velocità, a valutazioni economiche di esperti indipendenti

Grandi opere, da Expo 2015 al Mose in Italia si costruisce tutto al buio
In Italia si costruiscono grandi opere, ma nessuno spiega perché. Il 6 giugno, al Politecnico di Milano, si è svolto un convegno sulla valutazione economica dei grandi investimenti nei trasporti. L’Italia è un paese peculiare: non ha mai valutato seriamente nulla, nonostante diverse norme lo prevedessero, in particolare quelle ambientali. O meglio, sono state fatte ma sempre con risultati positivi. Trovare tecnici e accademici “non eccessivamente pignoli” non è difficile, soprattutto se retribuiti dai promotori degli investimenti stessi. In Italia, al contrario di quel che avviene negli organismi internazionali e nei paesi sviluppati, non è richiesta alcuna “terzietà” alle analisi: ci si limita a chiedere all’oste se il vino è buono. Solo da pochi tecnici indipendenti, e di rado, sono arrivati dei “no” basati su analisi economiche e finanziarie. I risultati di queste iniziative isolate si sono visti. Ma a danno delle carriere di quegli incauti che hanno fatto le analisi.
Molte mazzette e poche analisi
Quello delle grandi opere pubbliche è uno dei pochi in cui il governo è autorizzato dalla normativa europea a trasferire risorse alle imprese nazionali. Infatti le gare per l’affidamento sono certo obbligatorie, ma sono sempre e solo vinte da imprese nazionali, e generalmente sempre le stesse. Poi, si sa, le imprese tendono a manifestare gratitudine. E quanto sia diffuso questo sentimento per gli appalti vinti lo vediamo quasi ogni giorno, dalle inchieste sul Mose di Venezia a quelle sull’Expo di Milano, alla stazione sotterranea Alta Velocità di Firenze. Tutte opere per le quali era stata da alcuni sottolineata l’eccessiva onerosità per le casse pubbliche. Ma se per molti attori non fosse esattamente l’economicità e l’utilità dell’opera l’obiettivo principale, si potrebbe leggere un nesso tra i fenomeni di corruzione e lo scarso interesse per valutazioni indipendenti.
Oltre a un elevato tasso di corruzione, il settore ha ricadute occupazionali scarsissime per ogni euro pubblico speso (spesso si afferma il contrario, contro ogni evidenza fattuale). Secondo la Corte dei Conti, e viste le cronache giudiziarie, le grandi opere sono anche caratterizzate da straordinari livelli di penetrazione della malavita organizzata e da scarsa innovazione tecnologica (è un settore maturo).
Inoltre, forse anche in relazione all’assenza di valutazioni degne di questo nome, il settore ha dato uno straordinario contributo alla crisi del bilancio pubblico italiano, come dimostrato anche dal prof. Arrighi sulle pagine del Fatto. Ma per fortuna, questo disastro non riguarda tutti i modi di trasporto: le autostrade almeno in buona parte le pagano gli utenti con i pedaggi. Per gli investimenti ferroviari non è così: è tutto a carico dello Stato, e per importi straordinariamente elevati (in media tre miliardi di euro all’anno). Non certo per le linee minori: l’Alta Velocità, un eccellente progetto dal punto di vista degli utenti, ha scavato una voragine nei conti pubblici (si stima che sia costata tre volte di più di opere analoghe nel resto d’Europa). Alcune tratte sono ben utilizzate, altre semi-deserte (la tratta Roma-Milano è percorsa da circa 100 treni al giorno su 300 di capacità, che è un grado di utilizzazione discreto, ma le altre tratte molti meno). Gli utenti sono di categoria medio-alta, ma lo Stato, con straordinaria generosità, ha deciso di non caricare su di loro nemmeno un euro dei costi di investimento. La letteratura internazionale dimostra che l’impatto ambientale di opere ferroviarie di questi tipo varia dal modestissimo al negativo, considerando anche le emissioni in fase di costruzione.
E la festa non sembra affatto finita: sono alle viste una trentina di miliardi di euro a carico dello Stato in nuovi progetti ferroviari, molti dei quali di nuovo analizzati indipendentemente da alcuni studiosi (si veda LaVoce.info), e alcuni con livelli di utilizzazione prevedibili persino inferiori di quelli già realizzati. Oppure invece questa volta la festa sta per finire? Qualche segnale positivo c’è: l’intervento al convegno di cui si è detto di uno dei consiglieri di Matteo Renzi (il deputato del Pd Yoram Gutgeld) ha fatto chiaramente intendere che se i soldi pubblici nel settore dei trasporti vengono buttati dalla finestra come si è fatto finora, difficilmente ne arriveranno altri. Panico tra molti studiosi del settore, abituati a sentire promesse mirabolanti provenienti dai vari governi, e ad assecondarle con analisi molto “benevole”.
È ora di smetterla con i soldi buttati
Non ci sono più soldi pubblici da spendere con disinvoltura, e certo questa non è una motivazione che di per sé possa rallegrare (rallegra però averlo sentito dire con forza da un consigliere di Renzi). E forse una motivazione che rafforza questa c’è: la nuova autorità indipendente per la regolazione dei trasporti sembra fortemente intenzionata a lasciare alla politica la scelta delle infrastrutture, ma senza consentire ai concessionari pubblici e privati chiamati a realizzarle, di sprecare soldi dello Stato o degli utenti, sia con opere sovradimensionate rispetto alla domanda, che con soluzioni irragionevolmente costose.
Da Il Fatto Quotidiano di mercoledì 25 giugno 2014



Così IL FATTO QUOTIDIANO riferisce gli esiti di un convegno sulla “valutazione economica dei grandi investimenti nei trasporti” tenutosi al Politecnico di Milano il 6 giugno scorso.

Vengono elencati tutti i problemi posti dalle grandi opere:

1_Le grandi opere sono autoreferenziali, quando un'opera viene inserita nell'elenco si spendono somme enormi ma nessuno può criticare perché la bontà dell'opera è “certificata” da chi l'ha proposta. Mentre una valutazione efficiente dovrebbe avvenire tramite un ente indipendente.

2_ Il settore “grandi opere” è caratterizzato da un elevato tasso di corruzione che, come testimonia l'indagine sul MOSE, serve per oliare il meccanismo di autopromozione dell'opera.

3_ Il convegno smentisce anche il fatto che le grandi opere siano un modo per promuovere occupazione: “il settore ha ricadute occupazionali scarsissime per ogni euro pubblico speso (spesso si afferma il contrario, contro ogni evidenza fattuale)”.

4_ “Inoltre, forse anche in relazione all’assenza di valutazioni degne di questo nome, il settore ha dato uno straordinario contributo alla crisi del bilancio pubblico italiano, come dimostrato anche dal prof. Arrighi sulle pagine del Fatto”

5_ Infine la mazzata finale arriva dalla Corte dei Conti “le grandi opere sono anche caratterizzate da straordinari livelli di penetrazione della malavita organizzata e da scarsa innovazione tecnologica

Riflettiamo....

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